lunedì 28 settembre 2015

LA VIA DEI BORGHI.43: L'ultima fase dei borghi rurali siciliani. IL SECONDO GRUPPO


Lo sperpero dell'eredità: seconda metà degli anni Cinquanta

Nella seconda metà degli anni Cinquanta, quando la pianificazione dei borghi sarebbe stata già completa, venne dato l'avvio a diversi progetti che si concretizzarono nella costruzione di sole strade. Esse formalmente sarebbero state delle "strade d'accesso" ad un borgo. Tuttavia, tutto ciò che del borgo esisteva era semplicemente la posizione segnata sulla carta, ed a volte nemmeno quella. Non esisteva alcun progetto, eppure le strade furono appaltate e realizzate. In qualche caso servirono a collegare alcune case per assegnatari, sparse o raggruppate in borghi residenziali, con vie di comunicazione esistenti; ma in certi casi, nemmeno le case furomo mai realizzate.

Questo gruppo comprende tutti i "borghi" inesistenti, ma dei quali esiste invece la relativa strada d'accesso.



Abbate

Borgo Abbate sarebbe dovuto venire costruito a NordOvest di Gangi, a servizio dei lotti compresi nei piani di ripartizione 102 e 102 bis




Venne progettata la strada di accesso, e realizzate nella prima metà degli anni Sessanta; attualmente collega la contrada Acquanuova, di Gangi, sulla SS 120, con la SS 286




Del borgo non vi è traccia, così come non sembrano esservi le case per gli assegnatari. Non si sa qyuale fosse la planimetria; dalla mappa dei borghi può solo arguirsi che sarebbe stato un borgo di tipo "C"





Bracco Albano

Il borgo, di tipo C, sarebbe stato a servizio degli assegnatari dei PR 457, 179 e 314




il nome è dovuto al fatto che la strada decorre tra contrada Bracco e contrada Albano (e relative masserie). Il borgo non è stato costruito ma la strada sì, tra il 1959 ed il 1960. La strada realizzata mette in comunicazione la SP 107 con la SP 209II.




Sono state realizzate anche diverse case coloniche. Il progetto è datato 1956





Chiusa

Il borgo "Chiusa" sarebbe presumibilmente dovuto sorgere nei pressi della masseria "La Chiusa", a servizio di un gruppo di 16 case, costruite per gli assegnatari del PR 90.

La strada di accesso avrebbe dovuto consentire di giungere al borgo dalla SP 20, e poi essere, genericamente, "prolungata" (non si sa né come, né quando) per consentire di "collegare più direttamente i centri di S. Giuseppe e Partinico".

In realtà il progetto del prolungamento non è mai stato redatto; probabilmente le previsioni di prolungamento dell'ERAS erano semplicemente volte ad ottenere con celerità permessi e finanziamenti, dato che nelle richieste si fa riferimento al carattere di urgenza della realizzazione.




A cosa fosse riferibile l'urgenza non è dato di sapere; la strada, attualmente classificata come "strada provinciale 67bis", è infatti considerata dall'ESA "strada di penetrazione agraria", perché né il borgo, né il prolungamento, e nemmeno le case degli assegnatari sono mai esistite. Eppure, il contenuto dei documenti non può in alcun modo essere equivocabile




Che il borgo "Chiusa" non dovesse esistere è un evidenza che proviene anche da una diversa direzione: progetto e richiesta di approvazione della strada risalgono al 1955




ma nella mappa dei borghi aggiornata al 1 gennaio 1956, nessun borgo è previsto in quella zona.

E d'altra parte, quale sarebbe stata la necessità di esso, quand'anche fossero stati assegnati i lotto del PR 90? All'interno della masseria "La Chiusa" vi era una cappella (vi è tutt'ora, davvero molto suggestiva), e nella stessa masseria era stata istituita una scuola rurale che ha funzionato per diversi anni, ambedue più che sufficienti per sedici famiglie; l'unico servizio mancante sarebbe stato quello sanitario. Allora, a che scopo costruire un borgo?

In effetti gli attuali occupanti della masseria ricordano che la strada sarebbe stata costruita per consentire l'accesso ad un "sanatorio". E' stato anche riferito come le fondazioni dell'edificio fossero state realizzate, sebbene nessuno sia stato in grado di indicarmi il luogo esatto nel quale si trovassero.

Però, il progetto del sanatorio, dovuto a Giuseppe Spatrisano, è posteriore a quello della strada; risale al 1956, quando la strada era già stata realizzata da un pezzo.

In pratica, non vi sarebbero molti luoghi in corrispondenza dei quali cercare. La strada si diparte dalla SP 20 e termina esattamente in corrispondenza della masseria. Questo è il motivo per il quale sulla mappa dei borghi, la presumibile ubicazione del borgo è stata indicata in corrispondenza della masseria. Ma se la strada fosse stata realizzata per il sanatorio, anche esso avrebbe dovuto trovarsi in corrispondenza del capostrada, e cioè dove si trova la masseria.




Questo è il motivo per il quale sulla mappa dei borghi, la presumibile ubicazione del borgo è stata indicata in corrispondenza della masseria.




Ma se la strada fosse stata realizzata per il sanatorio, anche esso avrebbe dovuto trovarsi in corrispondenza del capostrada, e cioè dove si trova la masseria.

In realtà il luogo designato per la costruzione del sanatorio era un terrapieno che si trova a circa 500 metri dal capostrada.




L'edificio, che si sarebbe sviluppato su sei elevazioni fuori terra




presentava una pianta a "V" estremamente divaricata. L'ala Ovest avrebbe avuto il lato maggiore disposto quasi esattamente in direzione Est-Ovest.

La posa della prima pietra avvenne il 30 maggio del 1957. Dalle immagini fotografiche riprese durante l'esecuzione dei lavori è possibile verificare come in realtà l'avanzamento dei lavori sia giunto ben oltre le fondazioni, in quanto risulta visibile parte del porticato della prima elevazione dell'ala Ovest.

A giudicare dalle immagini aeree, il sito rimase nelle condizioni in cui era stato lasciato alla sospensione dei lavori per più di trenta anni. Si intuisce quale fosse la pianta dell'edificio, e si intravedono le strutture realizzate fuoriterra




Attualmente la sommità del terrapieno destinato ad ospitare il sanatorio è occupata da un invaso artificiale per l'irrigazione




Tutto ciò, dei lavori eseguiti, che rimane visibile consiste in una piccola parte della struttura che avrebbe costituitò l'estremità dell'ala Ovest




Pertanto, il ricorso a procedure d'urgenza per le approvazioni (forse ricordi borgo Castagnola, Lettore), l'assenza finanche della pianificazione di qualunque borgo nella zona, l'assenza di case coloniche assegnate, l'inesistenza del progetto di prolungamento, e l'esistenza di una strada che dalla SP 20 termina esattamente in corrispondenza della masseria, lascerebbero supporre che ciò che si sia in realtà realizzato sarebbe una strada di collegamento tra la SP 20 e la masseria "La Chiusa". Anzi, non c’è bisogno di alcuna supposizione; è l'evidenza che afferma che si è effettivamente realizzata una strada di collegamento tra la SP 20 e la masseria "La Chiusa"… le conclusioni, Lettore, come sempre, restano solo tue.







Cilenti

La strada, lunga circa 8 km, fu realizzata nel 1960 per consentire l'accesso al fondo del piano di ripartizione 319 dalla SP 168. A servizio degli assegnatari vi sarebbe stato, lungo la strada, un borgo "C".




Gli assegnatari sarebbero stati 171; più a Sud vi sarebbe stata un'altra zona di R.A (piano di ripartizione 124), per cui borgo Cilenti avrebbe rappresentato l'estremo Nord di una serie di quattro borghi (tre "C" ed uno "B"), tutti pianificati dall'ERAS, di cui nessuno venne mai costruito




E d'altra parte, nell'area non si rileva la presenza di case coloniche, il che vuol dire che i lotti non vennero mai assegnati; pertanto, la costruzione dei borghi sarebbe stata inutile.

E' possibile, a giudicare dalla mappa dei borghi aggiornata al 1956, che l'ubicazione originariamente prevista fosse qualche chilometro più ad Ovest. Sebbene la carta usata nella mappa dei borghi abbia una risoluzione molto bassa, è evidente come l'ubicazione originaria di borgo Cilenti fosse nettamente fuori dall'area compresa nel PR, mentre nella corografia esso vi ricada in pieno. E sempre nella corografia, borgo Cilenti è indicato con un simbolo "pieno a metà", con il quale spesso venivano marcate le strutture "in costruzione".




In effetti, in corrispondenza della posizione marcata in corografia, esiste una costruzione; ma essa sembra da riferire a casa colonica preesistente, indicata sulle carte IGM come "C. Cilenti".





Gallitano

Borgo Gallitano sarebbe stato un borgo "C" a servizio del piano di ripartizione nr 163, comprendente 139 lotti.

Del borgo non esiste progetto, anche se la sua realizzazone risulta pianificata al 1 gennaio 1956.




Anche sull'ubicazione precisa non ci sarebbero notizie anche se è plausibile che esso dovesse trovarsi al termine della strada di accesso. Questa, lunga poco più di due chilometri ha il capostrada in corrispomdemza di una curva della SP 32 della provincia di Caltanissetta, per terminare nelle campagne a SudEst, dove verosimilmente vi sarebbe stato il borgo. Una diramazione posta dopo poco più di metà della sua lunghezza conduce ad un agglomerato di case, le uniche realizzate per il PR; sono queste ad essere indicate come "Borgo Gallitano" nelle carte IGM e nell'altra cartografica (navigatori satellitari compresi).




La strada passa tra le strutture di servizio della vecchia miniera di zolfo, pertanto è verosimile che il tracciato della strada fosse preesistente, considerato inoltre che le case vennero costruite prima che fosse stata realizzata la strada. La costruzione di quest'ultima risale ai primissimi anni Sessanta; il progetto è del 1958





Marroccia

La strada, lunga 3360 metri, è attualmente parte integrante della SP 65 di Trapani e si dirama dalla SP 50




Avrebbe dovuto servire come strada d'accesso per le case coloniche degli assegnatari del PR 26




Borgo Marroccia sarebbe stato l'unico borgo (di tipo "C") costruito dall'ERAS nella zona, ma ne erano previsti diversi altri, verosimilmente da costruire da parte del consorzio Delia-Nivolelli.




Vi sono alcune case lungo la strada, ma il borgo non fu costruito; ed anche la strada risulta difforme dal progetto originario, che è del 1954





Sampieri - Sambuco - Serralisa

Gli altri tre borghi a Sud (in realtà a SudOvest) di Cilenti sarebbero stati Sampieri, Sambuco e Serralisa.

Sampieri avrebbe dovuto essere un borgo di tipo "B", Sambuco e Serralisa di tipo "C".




Venne realizzato un sistema viario di dimensioni non indifferenti, il cui imbocco si trova sulla SP 168 a sette chilometri e mezzo da Ricchiò, in località Pomo, in corrispondenza di un abbeveratoio




Le strade sono state realizzate solo in parte, nei primi anni Sessanta; i tronchi costruiti però compaiono sulle carte IGM come strade sterrate



San Piero Barcusa

San Piero Barcusa avrebbe dovuto essere un borgo di tipo "C" a servizio dei 49 lotti del piano di ripartizione 247, diciassette chilometri a Sud di Capo Calavà




Venne realizzata una strada lunga 3.5 km, attualmente SP 138 di Messina. L'imbocco si trova a Fondachello, sulla SP 136; si dirige verso Sud, divenendo uno sterrato alle falde di monte Barcusa, l'altura dove avrebbe dovuto trovarsi il borgo, per perdersi, più avanti, tra i Nebrodi




Il progetto è del 1956, ma non saprei dire a quando risalga la costruzione




Chiaramente del borgo non vi è traccia; così come delle relative case coloniche.



Tagliavia

Il santuario della Madonna di Tagliavia




fu edificato all'inizio dell'Ottocento, nel luogo di ritrovamento di un'effige della madonna su una lastra di ardesia. Contestualmente al ritrovamento, venne scoperta una sorgente dalla quale sgorgava acqua ritenuta miracolosa. Delle proprietà dell'acqua beneficiò anche Ferdinando di Borbone, allora rifugiatosi in Sicilia. Il re pregò successivamente la Madonna di Tagliavia di concedergli la grazia di ritornare sul trono del regno delle due Sicilie; sebbene dubiti fortemente che ciò sia accaduto a causa di un intervento soprannaturale, ciò, comunque, come brevemente ricordato qui, avvenne. Ferdinando di Borbone era avvezzo a mostrarsi generoso regalando roba non sua, ed i brontesi conoscono abbastanza bene l'argomento; come ex voto, assegnò allora l'intero feudo di Tagliavia al Santuario.

Poco meno di centocinquanta anni dopo, parte del feudo, passato comunque di mano, venne conferito all'ERAS. Le aree conferite vennero suddivise in due distinti piani di ripartizione, 157 e 224, cui avrebbero corrisposto due agglomerati residenziali distanti mediamente 3 km. Tra i due sarebbe sorto, a trecento metri dal santuario, un borgo di servizio.

Dalla mappa dei borghi aggiornata al 1 gennaio 1956 si evince come il borgo sarebbe stato di tipo "A", avrebbe sovrapposto il cerchio di influenza con quello di borgo Schirò per circa un terzo, e avrebbe servito anche i lotto dei piani di ripartizione 575, 655 e 162; sulla mappa il borgo ed il relativo raggio di influenza sono marcati in nero, segno del fatto che non avrebbe dovuto essere un borgo ERAS




L'ERAS si occupò di realizzare le case coloniche, appaltandone la costruzione all'impresa I.Co.Ri. L'impresa, pur senza mandato, costruì anche due tronconi di strada di accesso che avrebbero messo in comunicazione i due agglomerati residenziali con la strada di bonifica Pietralunga-Tagliavia; ciò non stupisce, in quanto essi sarebbero stati necessari, come strade di cantiere, per la costruzione delle case.

Il tronco più a Nord, che conduceva a borgo Aquila, venne praticamente completato, mentre quello più a Sud, che avrebbe dovuto servire borgo Saladino, consisteva in realtà in una traccia, senza manto di stradale, e priva di opere di presidio. Per esse, la I.Co.Ri, nel 1957, chiese "bonariamente" all'Ente il pagamento delle spese di realizzazione, richiesta chiaramente soddisfatta.

Alla fine del 1958 vennero redatte le relazioni tecniche per “perorare” la causa della I.Co.Ri., e per il completamento del tronco Sud; ma la pavimentazione non venne mai completata.

L’intestazione della relazione relativa alle strade dice testualmente “Strade di accesso al borgo in località “Tagliavia” – Comune di Monreale – Provincia di Palermo” e definisce la costruzione del borgo “in previsione” e fornendo un’indicazione di massima: “…e la sua ubicazione è stata stabilita in prossimità del Santuario di Tagliavia e alla strada di bonifica Pietralunga Tagliavia."

Nell’archivio ESA, però, tra i fascicoli relativi a “borgo Tagliavia” non esiste alcun progetto relativo al borgo rurale; così, l'unica supposizione possibile è che, data la vicinanza del santuario, non vi fosse prevista una chiesa. Semprechè si sia realmente cominciato a redigere il progetto.

Il fatto di utilizzare, anzi di incorporare, il Santuario della Madonna del Rosario di Tagliavia all’interno del borgo rurale è qualcosa che è stato già visto a proposito di borgo “Tagliavia-Bonanno”; progetto che poi venne sostituito da quello di “borgo Bonanno”, che invece, data la maggiore distanza dal santuario, avrebbe comunque compreso una chiesa. Quest’ultimo non venne mai costruito, e del suo progetto non vi è traccia negli archivi ECLS (caratteristica condivisa con borgo Quattro Finaite Giardo, e verosimilmente da attribuire, indirettamente, al conflitto mondiale in corso).

La sua supposta esistenza oltrepasserà però i confini dell'ECLS; nel 1953, a distanza di nove anni dall’incarico conferito a Spatrisano, il programma 762 della Cassa per il Mezzogiorno prevedeva lo stanziamento di 29 milioni di lire per il completamento dell'acquedotto Guisina per "Approvvigionamento del Borgo Bonanno". Nel 1953 si riteneva ancora, quindi, che in contrada Tagliavia un “borgo Bonanno” sarebbe esistito.

Ma allora, “borgo Tagliavia” potrebbe essere in realtà “borgo Bonanno”? In archivio, esistono tre corografie che mostrano le realizzazioni relative al sistema di borgo Tagliavia, e cioè le strade ed i due borghi residenziali, Aquila e Saladino; due recano la stessa data della relazioni tecniche, 30 settembre 1958, mentre la terza è precedente (12 dicembre 1956).

Solo su quest’ultima risulta segnata anche la posizione di borgo Tagliavia, ma che risulta in una posizione inequivocabilmente diversa da quella che avrebbe avuto borgo Bonanno, molto più vicina al santuario; è per questo che ho avanzato l’ipotesi dell’assenza della chiesa




Vi è inoltre un particolare che consentirebbe di precisare ulteriormente la posizione di “borgo Tagliavia”. Tra le strade marcate sulle corografie vi è la “Pietralunga-Tagliavia”, strada menzionata non solo nelle relazioni ERAS, ma anche nella relazione di borgo Bonanno redatta da Spatrisano. Ma la strada tracciata risulta diversa da quella attualmente esistente, e la differenza risiede proprio in corrispondenza dell’area designata per la costruzione del borgo




Né ciò può essere considerato un errore: il decorso della strada è identico sulle tre corografie, redatte tra l’altro in tempi diversi, a distanza di due anni




E neppure il tracciato della strada venne variato successivamente; questa immagine del 1955




mostra inequivocabilmente come il tracciato, all’epoca, ricalcasse quello attuale. L’unica spiegazione plausibile è che la realizzazione di borgo Tagliavia prevedesse una variazione del tracciato stradale




Inoltre, sulla corografia del 1956, quella sulla quale è marcata la posizione del borgo, la legenda è interamente scritta a macchina, con l’eccezione della parola “progettazione”, che sovrascrive, vergata a mano libera, un’area apparentemente cancellata, in cui si possono leggere le lettere “co”




E’ possibile ipotizzare allora che inizialmente vi fosse l’intenzione di dare corso al progetto di Spatrisano; ci si sarebbe poi resi conto di come una realizzazione di quella portata, per dimensioni ed architettonica, non fosse una strada percorribile. E la parola “costruzione”, che lascia supporre almeno l’esistenza di un progetto, sarebbe così divenuta “progettazione”, con un progetto ancora da realizzare; borgo Bonanno sarebbe stato definitivamente cancellato per far posto ad un “borgo Tagliavia”, mezzo chilometro più ad Est. Se così dovessero essere andate le cose, borgo Tagliavia rappresenterebbe l’ultimo atto di una catena di eventi iniziata in contrada Giammaria a distanza di venti anni nel tempo e venti chilometri nello spazio, che non sia mai riuscita a giungere al proprio epilogo.



Polizzello

Se tu, Lettore, dovessi avere dei ricordi, anche vaghi, della sequenza di eventi riguardanti la mafia nel secondo dopoguerra, ti starai probabilmente chiedendo perchè mai Polizzello sia inserito in questo post.

E ne avresti tutte le ragioni; Polizzello non dovrebbe essere trattato qui. Dietro Polizzello c'è una storia secolare, un mondo che non può essere descritto e liquidato con quattro righe di testo. Ma questo, Lettore, è esattamente il motivo per cui lo trovi qui, per quanto la motivazione sia abbastanza "contorta"; essa nasce da una sorta di equivoco.

Come probabilmente saprai, o per esserne autonomamente venuto a conoscenza, o magari per averlo letto su questo blog, nel 2003 l'ESA decise di tentare di recuperare gli archivi storici ECLS-ERAS, i cui documenti si trovavano accatastati alla rinfusa nei locali di borgo Portella della Croce. L'Ente si rivolse allora alla Soprintendenza Archivistica per la Sicilia, che procedette ad un rapido e sommario riordino, cercando di estrarre i documenti più importanti, ed in migliori condizioni. Il lavoro eseguito, essendo un'operazione preliminare, non fu scevro da errori, solitamente minori (qualche mancata inclusione, qualche documento inserito nel faldone errato), ma che nel caso di Polizzello furono più marcati.

Esiste infatti una "masseria Polizzello" tra Gangi e Villadoro




una zona nella quale l'ERAS aveva previsto quattro borghi , due "B" e due "C", e la costruzione di una strada, mai realizzata, che ne avrebbe collegati almeno due di essi, tra loro e con Villadoro e Borgo Milletari. Presumibilmente per tale motivo, la corografia relativa alla strada venne inserita nel fascicolo di un inesistente "borgo Polizzello", che risulterebbe, così, in territorio di Gangi.

In realtà, Polizzello si trova nel territorio del comune di Mussomeli




una quarantina di chilometri a SudOvest di Gangi, in una zona peraltro paesaggisticamente splendida




Vi è effettivamente una storia relativa ad un contenzioso per una stradella interpoderale che si trova proprio all'ingresso del centro rurale; ma essa è lunga un centinaio di metri, poco più di un centesimo di quella che avrebbe collegato Villadoro con Portella La Mannara.

Pertanto, nell'impossibilità di dedicare a Polizzello un singolo, esauriente post che potesse essere coerentemente inserito in questa serie sui borghi, e rispettasse comunque l'attuale suddivisione dei documenti dell'archivio ESA, non ho trovato altra soluzione che metterlo qui, tra i borghi dei quali l'Ente realizzo soltanto una strada, ma mai il borgo stesso. Ed in effetti, da un certo punto di vista, anche per Polizzello sarebbe andata proprio così: l'ERAS non vi realizzò mai alcun borgo; perchè il borgo era già esistente. Da un secolo.

Esistente e ben conosciuto. Se Tudia rappresenta infatti il simbolo degli addentellati occulti tra mafia, latifondismo e politica, Polizzello rappresenta una sorta di palcoscenico sul quale va in scena una situazione della quale chiunque può farsi spettatore. Proprio nulla di occulto vi è nel caso di Polizzello: tutte le connessioni sono sempre state mostrate a tutti, alla luce del sole.

Gli edifici che compongono il centro rurale Polizzello, infatti furono realizzati intorno alla metà degli anni Cinquanta del diciannovesimo secolo da Pietro Lanza di Trabia, proprietario del fondo. Quattro magazzini




due alloggi e diverse stalle circoscrivono un atrio di circa 30x20 metri




Un secondo cortile, adiacente al primo, è delimitato da stalle e case coloniche




Nel complesso edilizio sono compresi locali che erano adibiti ad aula scolastica per la "scuola pratica di agricoltura"




mentre distaccata dall'agglomerato principale, ad Ovest di questo, si trova la chiesa




Qualcuno ha ritenuto di dovere vedere una manifestazione di "illuminismo" in questo; ma non bisogna perdere di vista come la Costituzione del 1812 avesse sì reso proprietari i feudatari, ma lo avesse fatto abolendo il feudalesimo e i diritti ed i privilegi ad esso interconnessi ("Della feudalità, diritti e pesi feudali"). E' quindi difficile dire se alcuni proprietari siano stati "illuminati" dall'aver improvvsamente acquisito consapevolezza dell'esistenza dei diritti umani, o semplicemente dell'esistenza di una particolare convenienza ad una gestione più imprenditoriale della loro proprietà.

Mezzo secolo più tardi, ai primissimi del Novecento, furono realizzate altre case coloniche, più ad Est e ad un livello altimetrico inferiore




Una scalinata consentiva l'accesso diretto dalle case al centro rurale




realizzando un vero e proprio borgo. Questo è l'assetto definitivo, che il centro rurale conserva ancora oggi




Ad un tale impegno sul fronte delle infrastrutture, o almeno di alcune di esse, non corrispose altrettanto impegno nelle opere di trasformazione agraria. Ciò è stato messo in relazione alla totale assenza di opere di bonifica nel fondo; e questa interpretazione, come vedremo, avrebbe delle implicazioni molto interessanti.

Meno di una ventina d'anni più tardi, nel settembre del 1920, il fondo venne occupato da una cooperativa di ex combattenti, "La Combattente", affiliata all'Ufficio centrale cooperative combattenti siciliane, il quale faceva capo alla federazione italiana delle cooperative, che a sua volta aveva come referente l'Opera Nazionale Combattenti. L'occupazione di Polizzello era parte di una, più vasta, azione dimostrativa volta a smuovere l'ONC dal colpevole ritardo con il quale promuoveva le azioni di esproprio. Nell'idea di coloro che protestavano, l'immobilismo dell'Opera sarebbe stato finalizzato a consentire ai proprietari il frazionamento e la vendita dei fondi, prevenendo così l'esproprio. Come, d'altra parte, avrebbe fatto l'ERAS tra il 1950 ed il 1955; anche lì, nulla di nuovo sotto il sole

Nel caso de "La Combattente", la cooperativa era stata fondata a gennaio, a maggio aveva inoltrato la richiesta di esproprio all'ONC, ed a settembre era passata alle vie di fatto. Vie di fatto che avrebbero visto la cooperativa in antagonismo con tutti; con l'Opera, contro la quale protestava, e con i Trabia, i diritti dei quali ledeva. Anche i Trabia sarebbero stati opposti a tutti; a "La Combattente" che occupava illecitamente i suoi terreni, ed all'ONC, che avrebbe dovuto espropriarli.

Sebbene tali azioni di forza fossero state programmate per tutte le province siciliane, nel caso specifico di Polizzello vi era una fondamentale differenza. Questa consisteva nel fatto che ai vertici de "La Combattente" stavano esponenti di spicco della mafia locale, ed i richiedenti le assegnazioni, sebbene spesso (non sempre) ex combattenti, raramente erano contadini, essendo occupati in tutt'altre attività.

E' difficile spiegare in poche righe, Lettore, quale sia stato il complesso meccanismo burocratico posto in essere dai Trabia; esso è esposto in dettaglio in diverse relazioni presentate alla commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, ed organicamente riassunto in alcune pubblicazioni. Di fatto il risultato di esso fu un accordo tra i proprietari e "La Combattente", accordo con il quale, si cercò di arrestare la procedura dell'esproprio, e si diedero in gabella 847 ettari alla cooperativa, la quale nel 1922 recedette dalla richiesta di esproprio. Proprietari e mafiosi avevano trovato un rapporto simbiotico che consentiva loro di continuare ad opprimere gli oppressi da un lato, ed aggirare l'autorità dello Stato dall'altro.

L'avvento del fascismo non cambiò questo stato di cose, non è chiaro se per impotenza o per connivenza. Il contratto di gabella tra i Trabia e "La Combattente" venne rinnovato nel 1933, e rinnovato ancora, nell'agosto del 1940.

Ma, Lettore, nell'agosto del 1940 già era in vigore la legge sulla colonizzazione del latifondo siciliano. La quale prevedeva all'articolo 20 la risoluzione di tutti i contratti di locazione nei terreni da colonizzare; e fu proprio questa norma ad essere sfruttata per risolvere il contratto e sottoscriverne uno nuovo, a condizioni ancora più svantaggiose. E la stessa legge, all'articolo 7, prevedeva l'esproprio per i proprietari che non avessero adempiuto agli obblighi di bonifica; e, come sottolineato più sopra, era proprio questa la condizione in cui il fondo versava. Nonostante tutto ciò, l'ECLS sembrò non muovere un dito: niente appoderamenti, niente borghi. Il verbo "sembrò", Lettore, non è casuale; in realtà vi fu un appoderamento, e furono costruite 28 case coloniche, alcune delle quali, con l'insegna lapidea dell'ECLS, sono ancora visibili nei dintorni del centro rurale.




E' una situazione già vista in contrada Madonna del Rosario ed a Ciolino; e questo sembra avere il sapore della connivenza, più che quello dell'impotenza. E riapre la questione, più volte sfiorata nei post di questo blog, di supposte "presenze oscure" all'interno dell'Ente.

L'impotenza sembra invece poter essere ravvisata nel'azione, o nella mancata azione, di Mori; le epurazioni del prefetto di ferro interessarono infatti Mussomeli solo di striscio. E soprattutto non interessarono Giuseppe Genco Russo, malavitoso che pare si chiamasse in realtà solo Genco, senza Russo.

Inizialmente, Genco Russo non era coinvolto ufficialmente ne "La Combattente", ma faceva parte del quadro dirigenziale di un'altra cooperativa, "La Pastorizia" (che comunque gestiva un altro feudo dei Trabia), pur prestando i sui servigi come delinquente a "La Combattente" quando occorreva.

La Sicilia del secondo dopoguerra deve ringraziare sempre gli americani se si ritrovò dei delinquenti ad occupare importanti cariche politiche ed amministrative locali, ed a gestire roba non propria come se invece lo fosse. E' questo che intendo come "gestire la cosa pubblica come fosse propria" quando parlo di "mentalità mafiosa".

E così, nel secondo dopoguerra, complici gli americani che occupavano la Sicilia, Genco Russo si costruì un paravento di rispettabilità che lo condusse ad ottenere onorificenze prima (Cavaliere della Corona d'Italia), e cariche politiche dopo (consigliere comunale di Mussomeli) con la DC, dalla quale fu proposto come assessore, carica alla quale dovette rinunciare.

Per quanto riguarda le attività connesse alla gestione dei fondi, divenne presidente del CdA de "La Combattente", oltrechè essere membro del CdA de "La Pastorizia" e vicepresidente del Consorzio delle Valli del Platani e Tumarrano.

Genco Russo era tra l'altro un mafioso dichiarato; era già stato individuato come mafioso durante il regime fascista, ed aveva subito diversi processi, anche se una sola condanna, a sei anni, che scontò per metà. Ben poca cosa rispetto alle imputazioni dalle quali era stato assolto; ma era, ormai, pur sempre un delinquente. Fu, appunto, solo nel dopoguerra che ritenne di dover cambiare, apparentemente, il suo ruolo sociale; e riuscì a farsi considerare, a tutti gli effetti, "riabilitato". Ma non si era mai nascosto, prima, all'ombra di una posizione rispettabile.

Come aveva fatto invece dagli inizi, ad esempio, Michele Navarra, che usava la professione medica come paravento per le proprie attività; e che poi morì ammazzato coinvolgendo chi con lui aveva poco a che vedere. E cioè il suo collega Giovanni Russo, (questa volta senza "Genco", però), che ignaro di tutto, lasciò vedova la moglie incinta. Il figlio, che non conobbe mai suo padre, si chiamerà Giovanni anche lui e si laurererà in Medicina; ma queste, se non fosse per lo sconvolgente dramma familiare, sembrerebbero curiosità, quasi note di folklore, che comunque non hanno a che vedere con la vicenda.

Ritorniamo dunque a Polizzello e all'ERAS. Già, l'ERAS; che c'entra l'ERAS?

Nonostante il Genco Russo si fosse prodigato per mantenere lo status quo (proprietà del fondo ai principi di Trabia, gestione di esso alle sue cooperative), trent'anni dopo la catena di eventi che avevano condotto alla situazione brevemente descritta, e cioè nel dicembre del 1950, l'Opera Nazionale Combattenti ottenne infine l'esproprio del feudo Polizzello. Questo accadde in seguito alla richiesta, avanzata nel luglio dell'anno precedente da parte di alcuni quotisti, di riesaminare le istanze di esproprio.

Le cooperative di ex-combattenti ("La Combattente", ma anche "La Pastorizia"), la cui funzione a questo punto sarebbe venuta meno, continuarono invece a porsi come mediatori prima nella questione tra i Trabia e l'ONC, e dopo nei rapporti tra quotisti e la stessa ONC; ed in tutto ciò, continuavano a riscuotere compensi gabellari dai contadini. Da un certo punto di vista, anche l'ONC avallava tale situazione, continuando a considerare le cooperative come interlocutori ufficiali. E' probabile che tale avallo abbia avuto origine da una concomitanza di condizioni, per cui l'Opera, all'atto dell'esproprio, trovandosi nella necessità di versare un anticipo di quaranta milioni di lire, si rivolse direttamente alle cooperative per la raccolta dei fondi; i gestori di esse ne approfittarono per redigere l'elenco degli assegnatari, elenco basato su coloro che avevano, in effetti, eseguito i versamenti per raccogliere la somma da versare.

Così nel 1952 l'ONC eseguì delle assegnazioni; ma gli assegnatari direttamente designati, e parte di coloro inclusi nell'elenco per i sorteggi, erano in realtà stati individuati da Genco Russo e collaboratori.

La situazione posta in essere dalle cooperative determinò, attraverso meccanismi anche qui difficili da descrivere in poche righe, un incremento del prezzo al quale sarebbero stati pagati i terreni, e quindi delle quote che i soci avrebbero dovuto corrispondere, e conseguentemente un onere economico al quale l'ONC non era in grado di far fronte. E fu qui che si pensò di far subentrare l'ERAS.

L'Ente, come già visto nel caso dei Villaggi Schisina e, in maniera meno eclatante, in quello dei borghi di Contessa Entellina, appariva proclive ad assumersi oneri finanziari quando questi avessero rappresentato un vantaggio per i grossi proprietari; in altri termini, i favoritismi accordati dall'Ente ad alcuni latifondisti costituiscono un fenomeno documentato, e ciò in quanto gli eventi erano palesi.

L'ERAS si sobbarcò quindi l'onere economico dell'esproprio, pagando il fondo una cifra che era circa tre volte ciò che avrebbe dovuto. Anche qui la vicenda è complessa; i 450 milioni esborsati dall'ERAS furono comprensivi di indennità, rimborsi, ed una sorta di compenso che i Trabia avrebbero incassato, trattenendo a tale titolo l'anticipo di quaranta milioni già versato; il compenso era stato preteso per ritirare il ricorso riguardante l'indennità di esproprio. Poichè, però, l'ERAS era finanziato con soldi pubblici, sarebbe più corretto dire che fu la collettività a subire l'onere economico della transazione poco conveniente. In pratica, avrebbero guadagnato un po' tutti, a spese della collettività.

Nonostante questo, e nonostante i quotisti direttamente o indirettamente affiliati alla cosca fossero morosi, essi manifestarono comunque un forte disappunto per la transazione, cercando di avversarla. Sebbene tale atteggiamento sembrerebbe avere poco senso, aveva una motivazione ben precisa.

In realtà molti quotisti, soci de "La Combattente", nutrivano il timore che il passaggio all'ERAS avesse potuto vederli esclusi dalle assegnazioni definitive. Parte di loro infatti, non avrebbe avuto i requisiti per ottenere l'assegnazione dei lotti; tra di essi vi erano artigiani, commercianti, impiegati, persino un sacerdote ed un sottufficiale dei carabinieri. Anche lo stesso Genco Russo possedeva delle quote




Ed il plurale è d'obbligo perche egli, come altri personaggi della sua risma, utilizzava dei prestanome per acquisire le terre. Questi si prestavano ad un simile gioco, oltre che per la posizione di Genco Russo ed accoliti, anche perchè costretti legalmente, o tramite sottoscrizione di una scrittura privata, o per l'emissione di cambiali, nel caso di ribellione sarebbero andate in protesto




I soci della cooperativa in posizione irregolare così non solo cercarono di opporsi alla transazione, ma una volta avvenuto questo, divennero morosi nei confronti dell'Ente. Genco Russo, che tra l'altro era in rapporti ottimi con i vertici siciliani della DC, poichè della DC, ormai, faceva parte, impiegò tutto il suo potere politico nello sforzo di impedire tale transazione, coinvolgendo l'intera sezione democristiana di Mussomeli




Quando la legge nr 8 del 4 aprile del 1961 obbligò l'Ente a cedere i terreni per favorire la formazione della piccola proprietà contadina, l'Ente sembrò divenire intransigente, escludendo dall'assegnazione alcuni soci, e rimettendo a sorteggio i relativi lotti.

Ufficialmente la necessità sarebbe stata determinata dalla difformità dei criteri di assegnazione ( “i coloni e loro figli che in atto li coltivano”) previsti dalla suddetta legge, di cui l'Assesorato pretendeva l'applicazione, e quelli previsti dal RD 1606 del 16 settembre 1926, sulla base del quale sarebbero state eseguite le precedenti assegnazioni, avallate dall'ONC. (ex combattenti).

In realtà in parte ciò fu fatto, ma alcuni dei non aventi diritto conservarono il possesso della terra e ne ebbero la proprietà, mentre l'Ente iniziò un'azione legale per recuperare i crediti dai morosi. In effetti, a prescindere dai personaggi che stavano dietro alla vicenda, ed agli intrighi intessuti per venire in possesso delle terre, esistevano dei fondamenti legali sui quali basare il contenzioso, che consistevano proprio nella difformità dei criteri adottati dall'ONC e dall'ERAS.

A questo punto diviene difficile (per me, almeno) comprendere esattamente quanto davvero fu efficace l'azione dell'Ente, sia per quel che riguarda la riassegnazione dei lotti, sia per il recupero crediti.

Per quanto riguarda il primo aspetto, Di Bartolo, nel suo “L’ultimo assalto al latifondo. Luci e ombre di un caso siciliano (1956-1963)”, riporta l'assegnazione di 411 lotti, ed il sorteggio di ulteriori 104, ma da una tabella mostrata non è chiaro come siano state distribuite le assegnazioni; il totale dei lotti desumibile dalla tabella è di 419, ed è difficile ottenere un subtotale di 411 o di 104.

L'allegato numero 1 accluso al memoriale del PCI sulla mafia dei feudi, redatto nel 1964, elenca 57 nuovi assegnatari individuati tramite il sorteggio del novembre 1952. Sebbene la ricorrenza di alcuni cognomi sia elevata in determinate zone, e l'assenza di altre generalità non consenta di discriminare i casi di omonimia, sembrerebbe che almeno alcuni assegnatari in elenco possano ritrovarsi tra coloro nei confronti dei quali l'ERAS iniziò, undici anni dopo, e cioè nel 1963, un'attività di recupero dei crediti relativi al godimento dei terreni dalla data di acquisizione del fondo da parte dell'Ente




Quindi, anche se una riassegnazione ebbe luogo, probabilmente essa non valse ad eliminare totalmente, dal gruppo degli assegnatari, coloro che vi erano stati inseriti dalle cooperative. E proprio nel 1963 ebbe luogo un atto di intimidazione formidabile, per il quale venne inviato un gruppo di fuoco a sparare sui contadini; uno dei responsabili dell'azione venne individuato in Giuseppe Sorce, mai punito per questo.

Ma non solo.

Proprio per quel che riguarda il recupero crediti, l'azione dell'ERAS fu poco efficace anche per la difficoltà di discernimento tra i reali intestatari ed i prestanome




Per tale motivo inizialmente l'ERAS aveva tentato una conciliazione, ma solo 13 quotisti su 118 effettuarono regolati pagamenti; Ancora alla fine degli anni Sessanta l'Ente, nel frattempo divenuto ESA, tentava di recuperare qualcosa da coloro che mai avevano pagato




E la strada che ha costituito l'occasione, o la scusa, per dare origine a questo post? Quella era solo una stradella senza importanza, che avrebbe fatto comunucare la SP 16 con la strada di accesso al borgo




circoscrivendo l'orto e decorrendo tra questo e la villetta.

Quale fosse la necessità di tale bretella a gomito non è chiaro; forse avrebbe dovuto servire il podere sperimentale, con essa confinante. Ma anche una faccenda così banale ha condotto ad interminabili contenziosi. E' interessante la comunicazione che il proprietario del terreno sul quale la strada era stata realizzata inviò all'ESA nel 1993. E' interesssante non tanto nei contenuti, quanto nella forma. La categoricità delle espressioni adottate, infatti, pare la trasposizione per iscritto degli atteggiamenti tipici di un certo mondo, ma alla fermezza della forma espressiva corrisponde, alla fine, una firma vergata con grafia ingenua e tremolante, di chi non è in realtà avvezzo a scrivere. Il documento nel suo insieme, a prescindere dal nome del firmatario, può essere considerato l'emblema della vicenda di Polizzello




Polizzello, inteso come "borgo rurale", è stato recentemente oggetto di un lavoro di ristrutturazione edilizia a fini di recupero, lavori iniziati poco dopo l'escursione nel corso della quale sono state riprese le immagini; ma a prescindere dall'aspetto specificamente attinente ai lavori, quale sia stato l'epilogo relativo all'intera vicenda, Lettore, non saprei. Ciò che so è che, ai tempi della ripresa delle immagini, la strada d'accesso rimaneva chiusa, inglobata nel terreno recintato




così come chiuso appare il podere sperimentale.

Anche qui, nulla di nuovo sotto il sole.


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