giovedì 25 aprile 2013

LA VIA DEI BORGHI.14: La quinta fase dei borghi rurali siciliani. BORGO GIGINO GATTUSO-PETILIA



Borgo Gattuso/Petilia: l’ironia della sorte

Se tu Lettore dovessi aver dato per caso un’occhiata ai post introduttivi di questa serie sui borghi rurali, forse ricorderai sia lo sproloquio riguardo alla metafisica ed alle relative atmosfere, sia la descrizione della sensazione provata nel vedere per la prima volta quella che avrebbe dovuto essere la piazza di Borgo Borzellino. E l’atmosfera surreale colta in quell’occasione non era quella volutamente ricercata dal progettista, ma un’altra, creata da una serie di elementi inconsapevolmente e casualmente accostati. L’ubicazione isolata dell’insediamento, l’aspetto inusuale della torre littoria, la presenza del balcone dell’arengario, il rumore degli infissi sbattuti dal vento mi proiettarono inaspettatamente in un ambiente nuovo, sconosciuto ed irreale, tanto da farmi chiedere ove mai fossi capitato.

Nel corso dei mesi, la sorpresa cedette il posto alla ricerca volontaria della sensazione di irrealtà vissuta all’interno di questi luoghi. Divenne usuale uscire di casa, seguire un routinario percorso cittadino, trovarsi su strade extraurbane dall’aspetto familiare, percorse tante e tante volte, per poi spostarsi progressivamente su itinerari meno battuti. Fino a percorrere strade sconosciute, che attraversavano lande deserte, per giungere infine in prossimità di costruzioni dall’aspetto inusuale, strane oasi nel deserto della campagna, raggiunte le quali nasceva la consapevolezza di essere capitato proprio dove avrei voluto.

Giunsi a Borgo Petilia per la prima volta in una giornata di inizio estate, dopo aver percorso un centinaio di chilometri di un’autostrada conosciuta, usuale e banale, e pochi chilometri di una statale sconosciuta, ma altrettanto banale ed usuale. La giornata era grigia, di quel grigiore che dal cielo si estende al panorama circostante, e da lì ad ogni singolo oggetto. Una giornata né bella né brutta, senza sole e senza pioggia, banale come la strada che avevo percorso. Poco dopo il cartello stradale che indicava Borgo Petilia, una strada alberata saliva sulla sinistra; lungo di essa, un corpo basso, una scuola e due palazzine, tutto in perfetto stile anni Cinquanta. Fino ad una piazzetta sulla quale si affacciava un edificio con gli ingressi murati, ed oltre la quale si intravedeva una chiesa a pianta circolare, intonacata di grigio. Grigia come la giornata, banale come la strada. Così. dopo cinque mesi, riaffiorò la domanda: “Ma dove sono capitato?”
 

Già. Dove sono capitato. Dopo aver attraversato territori dove non si incontrava anima viva per decine di chilometri, per vedere infine Libertinia, il traffico autostradale era risultato deprimente. Dopo aver percorso la magnifica valle del Tumarrano in un’altrettanto magnifica giornata di fine primavera, la strada grigia in una giornata grigia appariva deludente. Dopo aver ascoltato il sibilo del vento spezzare rispettosamente il silenzio tra le abbandonate abitazioni di Recalmigi, il vociare nella piazzetta di chi parlava di shampoo mentre saliva in auto mi infastidiva. Ma soprattutto, cosa aveva a che vedere un agglomerato costituito da un paio di palazzine, una scuola ed una chiesa alla periferia di Caltanissetta, nel peggiore degli stili del tardo dopoguerra, con i borghi rurali che avevo imparato a conoscere?

Eppure, Lettore, ci fu un tempo in cui Borgo Petilia non era così. Ci fu un tempo in cui l’aspetto del borgo, così come il suo nome, erano diversi. A quel tempo, Borgo Petilia si chiamava Borgo Gattuso, anzi, Borgo Gigino Gattuso; era dedicato alla memoria dell’eroico martire fascista.



Ma non sono stato in grado, Lettore, di introdurre l’argomento citando le motivazioni ufficiali che consentirono di elevare al rango di eroe Gigino Gattuso, così come ho fatto per gli altri borghi di questa fase. Non credo infatti che sia così semplice reperirle. Di sicuro, dovevano essere incise sul monumento che gli venne dedicato a Caltanissetta (in realtà, una stele sormontata da un fascio)


ma questo non esiste più, ed ha lasciato il posto ad un’edicola.

Se sei giunto qui perché nutri qualche interesse verso i borghi fascisti, è probabile che tu conosca già la storia di Gigino Gattuso; ed è possibile che tu la conosca anche se hai altri interessi. Infatti, l'accadimento è relativamente noto, ed è stato narrato da più di uno scrittore, e recentemente da Andrea Camilleri.

Riassumerò brevemente qui la vicenda, il cui inizio ha dei tratti in comune con quella di Giacomo Schirò, il fatto di nascere come ragazzata e trasformarsi in tragedia. Qui però è l’epilogo a divenire grottesco.

Gigino (Calogero) Gattuso era un giovane fascista, il quale desiderava “dare una lezione”, probabilmente a base di olio di ricino e manganello, al comunista Michele Ferrara, di qualche anno più grande di lui. Si presentò al cospetto di quest’ultimo spalleggiato da altre due persone; ma il comunista era armato. Purtroppo per lui, anche uno dei suoi camerati era armato; così, si tirarono fuori le armi e si sparò. A farne le spese fu proprio Gigino Gattuso, il quale restò ucciso. I fascisti incolparono il comunista di averli aggrediti, così il Ferrara si guadagnò il titolo di assassino, ed il Gattuso quello di “martire fascista”. Ma testimonianze e perizia balistica stabilirono che non fu Michele Ferrara ad uccidere Gigino Gattuso, il quale era caduto colpito dal “fuoco amico”, quello del suo camerata Santi Cammarata. Poichè i giochi erano stati fatti, la magistratura non si sentì di sovvertire tale situazione, ma neanche di spedire in galera un innocente; così il Ferrara fu riconosciuto innocente, ma perché avrebbe agito per legittima difesa, ed al Gattuso rimase il titolo di martire fascista. La verità venne comunque a galla; anche se Michele Ferrara fu spedito al confino nell’isola di Ponza, il titolo di “martire fascista” per Gigino Gattuso apparve quantomeno improprio. Ed è proprio da ciò che nasce il titolo del romanzo di Camilleri, “Privo di titolo”. Nel senso che Gigino Gattuso era un semplice morto ammazzato, privo di titolo, appunto.

Questo è forse il caso più evidente di applicazione del principio di cui parla Vincenzo Sapienza nella sua monografia, secondo il quale la scelta dei nominativi ai quali intitolare i borghi non fu felice, cadendo su personaggi anonimi quando non invisi alla popolazione. Nel caso di Gigino Gattuso, questo portò alla variazione, più tardi, della denominazione del borgo; la nuova denominazione fa riferimento al console romano Lucio Petilio, che avrebbe avuto un ruolo nella fondazione di Caltanissetta e di Delia. Il rapporto tra il console e la nascita dei centri urbani è ancora controverso; ma probabilmente qualunque nome andava bene, pur di liberarsi di quello del Gattuso, luminoso esempio della propaganda di regime.

Il progettista del borgo fu l’ing. arch. Edoardo Caracciolo. Ribadisco ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, che non sono in grado di indossare né le vesti dello storico, né quelle dell’architetto; riporto solo le impressioni ricavate leggendo qua e là. E dai quei pochi scampoli della biografia di Caracciolo che ho letto, l’impressione ricavata è costantemente quella dell’esistenza di una sorta di dualismo. Caracciolo, come architetto, non ha un ruolo di primo piano nel panorama nazionale, ma sembra averlo in ambito regionale, e soprattutto per il fascismo. E sebbene mostri uno spiccato interesse per l’urbanistica (dalla tesi di laurea in Ingegneria nel 1930, alla specializzazione in urbanistica del 1937), la sua connessione con il regime sembra estrinsecarsi prevalentemente in senso rurale. Dal 1946 insegnerà Urbanistica alla Facoltà di Architettura di Palermo, ma risale solo a quattro anni prima la sua teorizzazione della “Città rurale”, che costituisce l’ossatura della colonizzazione del latifondo in Sicilia.

E, ironia della sorte, proprio al teorizzatore della città rurale toccò la realizzazione del borgo cui sarebbe stato attribuito il nome più discutibile, tra i borghi ECLS.

Il nome fu assegnato nel 1940 con RD n. 1978. Non saprei esattamente quando e come la denominazione del borgo venne cambiata; ciò che è certo è che già nel 1945, sul documento relativo allo stato finale dei lavori, redatto dallo stesso Caracciolo, si legge “per la costruzione del borgo rurale “Petilia” già Gigino Gattuso”, anche se in documenti successivi esso verrà ancora indicato come “borgo Gattuso”.



Il borgo venne costruito in località Garistoppa, a Nord di Caltanissetta. Anche originariamente il borgo risultava a poca distanza dalla città; allora, la circonferenza determinata dal raggio di influenza del borgo la sfiorava


mentre oggi ne è invasa.


La scelta del luogo, operata dallo stesso Caracciolo, non fu casuale. Egli dice infatti testualmente: “Ho così ottenuto lo scopo di avere il borgo nelle immediate vicinanze della zona, con grande vantaggio per i collegamenti e risparmio per le opere di allacciamento[…]”

L’imbocco della strada lungo la quale il borgo si sviluppa è costituito da uno slargo in corrispondenza di una curva della SS 122bis. Proprio in corrispondenza di esso si trova l’abbeveratoio tipicamente posto all’ingresso dei borghi ECLS


Ovviamente, non è possibile trovare qui case ECLS per i contadini, così come negli altri borghi; ed inoltre da colui che sottoscriverà la teoria della “Città Rurale” non ci si può aspettare nemmeno un qualunque stratagemma per aggirare la regola. La funzione del borgo deve essere esattamente quella prevista, e Caracciolo lo enuncia chiaramente: “[…] il complesso edilizio che deve sorgere non è un villaggio nel vecchio senso della parola, nel quale le zone residenziali siano stranamente atrofizzate; ma è un organismo nuovo, di interesse non locale, ma regionale, in quanto pensato non in funzione dei 24 o 40 residenti locali, ma per servire ai 1.400 abitanti dispersi su 5.000 ha. di terreno

Sia il progetto del borgo, sia la richiesta di concessione di Mazzocchi Alemanni recano la medesima data, quella del 16 dicembre 1939; il preventivo per la realizzazione era di £ 1 267 226,60. La concessione fu autorizzata il 3 giugno 1940.

Sembra che l’inizio dei lavori sia stato coevo alla richiesta di concessione e la data di progetto; la costruzione venne affidata all’Impresa Muratori Riminesi, ed i lavori vennero diretti dallo stesso Caracciolo. La costruzione fu portata a termine nell’ottobre del 1940.

Caracciolo, all’epoca del conferimento dell’incarico per la progettazione di Borgo Gattuso aveva 32 anni; era quindi a tutti gli effetti un giovane professionista. Forse proprio per questo, o forse nonostante questo, sembra abbia affrontato e portato a termine il compito con particolare impegno e serietà. Le scelte progettuali sono infatti meticolosamente motivate, e tutto viene documentato con testo e disegni. Il risultato è una planimetria atipica, ancor più di quella di Borgo Fazio; ma essa avrebbe avuto una precisa ragion d’essere.

Il progetto originale prevedeva la costruzione di chiesa con canonica, scuola, sede delle organizzazioni del PNF, collettoria postale con telefono, caserma per quattro carabinieri ed un graduato con relativi alloggi, dispensario medico con relativi alloggi, Uffici per l’Ente di Colonizzazione, trattoria e rivendita generi diversi con relativi alloggi e botteghe per artigiani, più eventuale cabina elettrica


Questa, Lettore, è forse l’unica occasione che ho di poter mettere da parte le considerazioni personali, e lasciar descrivere la struttura del borgo al suo progettista.

Ho disposto i fabbricati richiesti lungo una strada che partendosi dalla nazionale Caltanissetta-S. Caterina, ascende con la pendenza del 5% rimanendo in fregio ad un’estesa piantagione a mandorli che si estende sulla retrostante collinetta.[…] Riteniamo che tale disposizione lineare sia la più logica, specialmente in collina, e ne abbiamo una riprova in quanto avviene nei villaggi della nostra Sicilia, spontaneamente sorti e per i quali l’andamento a rosario è quanto mai comune.”

Diversamente da come avviene per altri borghi ECLS (e come avveniva per quelli basati sulla planimetria del “Villaggio Tipo”), qui la strada di accesso non attraversa il borgo, ma finisce a fondo cieco



Il primo edificio che si incontra provenendo dalla Nazionale comprende due case per artigiani. Ciascuna casa consta della bottega e di tre vani. E’ dotata di cesso con doccia. Nella distribuzione si è tenuto conto […] della  necessità […]  di estraniare la famiglia […] dal movimento della strada. Due opportuni loggiati risolvono il problema. La destinazione della categoria degli artigiani è stata lasciata indecisa […] “



Segue, a valle della strada, la trattoria, che consta, al pianterreno, di un unico ambiente, variamente articolato, che contiene la rivendita di generi diversi, la sala da pranzo e la cucina. Al primo piano, l’appartamento dell’oste.”



A monte della strada, la posta e la caserma dei carabinieri sono contenute in un unico edificio, a due piani. Sono previsti due alloggi indipendenti, uino per uno scapolo ed un altro per una coppia di sposi con uno o due figli.”



La piazza è delimitata, per chi guarda a mezzogiorno, a destra della trattoria, a sinistra del Fascio, sullo sfondo dallo edificio della scuola.”

“[la scuola] è stata tenuta completamente separata dall’ambiente edilizio circostante mediante un alto podio che sfrutta la pendenza del terreno e le può servire per le adunate dei bambini. […] si sono previsti spogliatoi separati ed un congruo numero di docce e di lava-piedi”  


La casa del Fascio raggiunge una certa dignità architettonica attraverso la impostazione delle masse; la composizione è imperniata sullo squadrato volume dello arengario

 
Nell’edificio degli uffici sono previsti due ambienti con deposito attrezzi, una autorimessa ed un alloggio per i funzionari di passaggio. Anche esso è, come il Fascio e la scuola, ad un solo piano.”
 

Gli uffici dell’Ente, presenti sul disegno in assonometria, scompariranno dalla planimetria e non verranno mai realizzati; questi sarebbero stati prospetto e pianta

 
Il dispensario, oltre l’attesa, la farmacia, la sala visite, comprende due alloggi, uno per il medico (due stanze, cesso, cucina) ed uno per l’infermiere (una stanza, cesso).”
 
 
La chiesa richiama schemi tradizionali siciliani. I pilastri e le cornici sono previsti in pietra da taglio, i muri in pietrame informe a faccia vista
 

La casa del parroco si svolge intorno ad un giardino chiuso, comprende un ingresso, stanza per l’ospite, letto, pranzo, cucina, cesso e lo studio dal quale si ha accesso in una loggia che immette nella sacrestia e nella stanza per il catechismo.”

 
 La canonica non risulta visibile in assonometria.

Lungo la strada oltre la piazza è presente una “via crucis” realizzata con bassorilievi in maiolica  


inseriti in una serie di pilastrini che poi fiancheggiano la scalinata che conduce alla chiesa

 
L’opera è di Giovanni Ballarò, artista catanese che avremo occasione di incontrare ancora.

La chiesa merita una menzione sia per la pianta, sia per la struttura. Essa è infatti a pianta centrale, configurazione inusuale per i borghi ECLS (solo borgo Guttadauro avrà una chiesa a pianta centrale). Inoltre, l’aula ha una sezione circolare, mentre quella del presbiterio è quadrata
 
 
 
questa caratteristica è unica tra i borghi, anche perché probabilmente vi è un simbolismo alla base della forma rettangolare dell’aula e della presenza di un abside in fondo al presbiterio. Alla struttura si accennerà più avanti.

Il serbatoio per l’approvvigionamento idrico è posto più in alto sulla collina, in corrispondenza di un tornante della statale. Attualmente è inaccessibile, anche visivamente, in quanto è stato inglobato in una proprietà privata recintata, ed uno schermo quasi impenetrabile è stato realizzato per mezzo di una fitta vegetazione; inoltre è parzialmente interrato
 

Solo una delle pareti è visibile, sebbene con difficoltà

 
Dalla descrizione fatta da uno degli abitanti del borgo, consisteva in due vasche separate, con due arcate in corrispondenza degli accessi. Sarebbe stato in uso fino a meno di dieci anni fa.

L’atmosfera che pervade il borgo è, come già sottolineato, profondamente diversa da quella che si respira in altri luoghi simili (altri borghi ECLS) o meno simili (borghi non ECLS). Ma soprattutto è difforme da quella che l’architetto Caracciolo aveva ricercato

Lo sviluppo prevalentemente lineare della sistemazione è suggerito dalle condizioni altimetriche, onde evitare grandi scavi e rinterri, si ottiene con esso lo scopo di avere una mirabile veduta da monte verso valle e da valle verso monte […]”
 
 
“[…]Tuttavia ho curato che tale andamento non si riduca ad un eccessivo disperdimento delle masse edilizie e con l’opportuna disposizione dei fabbricati ho definito un ambiente edilizio, consistente in una vasta piazza chiusa da tre lati ed aperta a Sud, sul panorama descritto.


La strada del borgo culmina, nella sua parte più elevata, con la chiesa, che ho voluto isolare a mo’ di santuario […]”
 

In immediata vicinanza della strada ho disposto gli edifici che sono più continuamente frequentati, ossia le case per gli artigiani, la posta, la trattoria. Intimamente collegati tra loro formano quasi da anticamera al più aulico spazio della grande piazza, sulla quale prospettano il Fascio con le istituzioni dipendenti gli uffici dell’Ente e la scuola. Questa è nettamente separata dal traffico mediante un alto podio sul quale i bambini circolano al sicuro.”

Attualmente, l’impianto del borgo resta, ovviamente, conservato; ma il resto non coincide più con quella che era l’idea del progettista, sia dal punto di vista strutturale, sia da quello funzionale. Così, ad esempio, non è più visibile il “podio” menzionato da Caracciolo a proposito della scuola, che pure era originariamente ben evidente
 

E l’attuale utilizzo degli edifici, quasi tutti destinati ad abitazioni, rende vano l’intendimento del progettista, che aveva concepito l’impianto avendo in mente delle funzioni ben precise.

Abbiamo così un centro a carattere più elevato, amministrativo e politico, mentre un primo centro più commerciale sarebbe quello precedente, già descritto, ed uno, spiritualmente isolato, quello religioso

Né le variazioni riguardano la sola scuola

Nella piazza ho previsto un piccolo porticato per i giorni di pioggia, che serve per le contrattazioni al coperto e che è contemporaneamente al servizio della trattoria
 

Il porticato della trattoria è adesso divenuto una sorta di patio, parte a tutti gli effetti dell’edificio, e completamente avulso dalla piazza; ma le intenzioni di Caracciolo non erano queste:

La piazza antistante [alla casa del Fascio] è destinata alle adunate, il podio della scuola e il portico della trattoria formeranno quasi loggia durante le cerimonie politiche.”

Ciò che il Caracciolo non menziona a proposito della casa del Fascio, concentrandosi sullo “squadrato volume dello arengario”, è la contrapposizione di questo al volume semicilindrico posteriore, anch’esso non più esistente e sostituito da una costruzione altrettanto squadrata
 

Solo l’estetica della chiesa è rimasta aderente al progetto originario

 
mentre  l’architettura dell’edificio comprendente posta e caserma è stata totalmente stravolta
 

Ma tale architettura, sebbene ritenuta “semplice” dallo stesso architetto

La architettura dei singoli edifici è basata sulla massima semplicità; si è tenuto strettamente conto, più che delle forme locali, del sentimento che queste forme hanno ispirato, onde non cadere in viete imitazioni formali, ma intimamente rivivere le masse edilizie quali espressioni sentimentali e quindi estetiche

era stata accuratamente studiata, anche nei particolari
 

così come nei particolari ne erano stati studiati gli effetti visivi

 
per ottenere quindi un impatto generale profondamente diverso
 


anche quando visto dall'interno



Le fotografie dei disegni  riproducono gli schizzi che rimasero nell’archivio dell’ECLS



ma evidentemente il coinvolgimento emotivo del Caracciolo fu tale da lasciare un segno duraturo, se immagini simili si trovano anche nell’archivio personale

 
Insieme alla chiesa, solo le opere artistiche sono rimaste a ricordare ciò che fu. Sebbene pesantemente rovinati dal tempo, il bassorilievo sull’abbeveratoio
 
 
e le maioliche della via crucis
 
 
sono ancora presenti, silenziosi testimoni di ciò che era e che non è più.
 
Cosa mai avvenne, Lettore? Cosa può essere accaduto che abbia condotto il responsabile del progetto ESA a dichiarare “Non riesco a capire come si sia potuti arrivare a sconvolgere tutto?” Come è possibile che si sia stravolto tanto lo spirito di un progetto che era stato preparato con tali attenzione ed accuratezza?

Il problema sta proprio qui: attenzione ed accuratezza. Attenzione alle disposizioni del regime, ed accuratezza nel pianificare ogni particolare, al di là della mera architettura.

Come venne realizzato il borgo? Anche qui, abbiamo la possibilità di rifarci alla relazione di Caracciolo:

Le strutture in generale sono tutte autarchiche in quanto sono state previste delle murature di pietrame con malta di pozzolana. Il cemento viene usato solo in modestissime quantità e specialmente per la formazione della pietra da taglio artificiale, allo scopo di raggiungere la massima economia.

Il ferro entra in quantità trascurabili in pochissimi solai dove per i pericoli di incendio si è creduto di evitare il legno.

Tutte le strutture portanti sono in castagno

Persino nella chiesa non si fece il benché minimo uso di strutture portanti in cemento armato, né durante la costruzione originaria, né nel corso della manutenzione straordinaria. La tecnica costruttiva è ben descritta da Sapienza nella sua monografia; sia i contrafforti, sia i setti sono in muratura. La struttura è ben visibile nella parte bassa dell’edificio, attualmente senza rivestimento esterno
 
 
Caracciolo assunse dunque un atteggiamento opposto a quello di Epifanio con Borgo Fazio. Un atteggiamento che denotava massima attenzione ai dettami del regime, ma di cui la sorte approfittò ancora una volta per manifestare la propria ironia. Fu proprio la dedizione al regime nel curare il progetto che decretò la fine precoce del frutto della sua realizzazione.

Infatti, già nel 1950, e cioè dieci anni dopo la costruzione, diversi edifici risultavano lesionati; ciò è ancora più significativo in considerazione del fatto che il collaudo era avvenuto dopo la fine della guerra, nel 1946. Collaudo che aveva avuto esito positivo definendo “accettabili” strutture che già avevano dovuto subire un primo intervento di manutenzione l’anno precedente.

L’esigua durata delle strutture venne attribuita ad una maggior usura derivante dal fatto che il borgo era stato adibito a centro di sfollamento; ma anche e soprattutto dalla qualità della realizzazione considerando che “in dipendenza dello stato di guerra le diverse strutture previste in cemento armato (solai, architravi, scale ecc.) vennero eseguite in legno non sufficientemente stagionato per le note difficoltà di approvvigionamento”. Ma, come abbiamo visto, la realizzazione delle strutture “tutte autarchiche” fu una precisa scelta progettuale.

La vicenda da qui diviene molto articolata, con sospensione e ripresa dei lavori, ulteriori danni e perizie suppletive, fino all’ultimazione dei lavori, cinque anni più tardi, condotti secondo il principio illustrato nella relazione finale

Dal quadro di raffronto risulta che l’importo dei lavori eseguiti, resta compreso entro i limiti di spesa previsti nella perizia originaria.

Ciò è stato possibile ottenerlo in quanto, in corso d’opera, mentre sono stati eseguiti tutti i lavori intesi a garantire la stabilità dei fabbricati, si sono ridotti al minimo indispensabile tutti gli altri riguardanti le opere di rifinitura e quindi non altrettanto necessari.”

La "riduzione al minimo indispensabile" si spinse fino alla deliberata, programmata abolizione di quegli elementi architettonici che maggiormente caratterizzavano il progetto di Caracciolo; a titolo di esempio viene mostrata la pianificazione della demolizione (marcata in giallo) del volume semicilindrico che nella descrizione dell'architetto contribuiva alla "dignità architettonica attraverso la impostazione delle masse"




Così alla fine, il borgo acquisì l’aspetto attuale.

E questo risponde anche alla domanda del dirigente dell’ESA: “Come abbiamo potuto?”

In questo modo. Per risparmiare. Perché non c’erano finanziamenti sufficienti. Perché si è perso tempo. Senza perdere di vista il fatto che nel 1953 il borgo non aveva alcun valore storico, e tra il valore architettonico e quello funzionale si è ritenuto di privilegiare quest’ultimo, come era normale. Perché nel 1953 il borgo aveva appena tredici anni. Era un insieme di edifici non nuovissimi, ma sicuramente moderni, e che dovevano espletare la funzione per la quale erano stati costruiti; il resto passava in secondo piano.

Eppure, nel corso della lunghissima vicenda che riguarda gli interventi di manutenzione, pare si sia cercato in diverse direzioni la risoluzione dei problemi relativi a costi e tempi. Questa missiva è rappresentativa di una delle strade battute dal commissario straordinario dell’ERAS. E’ priva di data, e la parte inferiore del foglio è stata tagliata. La riporto come immagine per evitare di trascriverla come ho fatto con il resto della documentazione riportata; aprendo l’immagine nell’originaria dimensione in cui è stata caricata sul blog, risulta perfettamente leggibile
 

 La parte inferiore era stata tagliata perché contiene nome ed indirizzo del destinatario, e non intendevo, Lettore, toglierti il piacere di scoprire proprio alla fine quale fosse il massimo dell’ironia della sorte. Ma eccola qui:


Si è fatto ricorso proprio ad uno dei più acerrimi nemici del regime per tentare di salvare ciò che, per ideazione, progettazione e realizzazione, di quel regime avrebbe potuto considerarsi simbolo.

Come si è accennato, la manutenzione straordinaria che si risolse in una totale ristrutturazione del borgo terminò nel 1958; allontanati il pericolo della distruzione fisica del borgo ed i precetti del suo ideatore, era stato possibile realizzare delle case per assegnatari in prossimità del borgo, e progettare un ampliamento. Quest’ultimo prevedeva la costruzione di due edifici, un asilo con alloggi, e una sede di cooperativa. Vi erano due opzioni per l’ampliamento; una che prevedeva la costruzione dei nuovi edifici in corrispondenza di aree libere nell’ambito del borgo originario
 

l’altra che avrebbe visto sorgere i fabbricati dal lato opposto della statale


Dalla corografia sembra potersi desumere che la scelta cadde sulla seconda opzione


scelta comunque puramente astratta dato che l’ampliamento non venne mai realizzato. L’architettonica degli edifici sarebbe comunque stata estremamente distante da quelli del progetto di Caracciolo; questo sarebbe stato l’asilo


e questa la sede per la cooperativa

Ma ormai si era completamente svincolati da ogni obbligo; sia da quelli normativi previsti dall’ECLS, che avrebbe voluto che le varianti di progetto venissero valutate da una commissione, sia da quelli stilistici, in considerazione che quasi nulla del progetto originario esisteva più.

E come in un cerchio che si chiude ritorniamo all’interrogativo iniziale:”Dove sono capitato?”. A Borgo Petilia, forse, ma non certo a Borgo Gigino Gattuso. Niente del progetto originale, all’infuori della planimetria e della chiesa, è infatti ormai visibile. Solo l’ubicazione degli edifici è conservata, ma i fabbricati sono diversi, nello stile e nelle strutture. E se Borgo Schirò è una riproduzione relativamente fedele dell’originale, per certi versi paragonabile ad un ottimo falso, Borgo Petilia non riesce ad essere neanche questo.

Edoardo Caracciolo è morto nel 1962, all’età di 55 anni. Non so se avesse un’idea precisa della fine che aveva fatto la sua creatura, ma mi accade spesso di chiedermi cosa avesse pensato. O cosa avrebbe pensato se l’avesse visto. E questo senza che ciò implichi un giudizio di qualche natura sui risultati del suo operato, giudizio che peraltro non sono titolato, in alcun modo, ad emettere. Deve però essere questo cognome che, in un modo o in un altro, porta sfortuna ai borghi, per qualunque motivo compaia; ma di questo, Lettore, parleremo più avanti.
 

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