giovedì 23 giugno 2011

La fornace Penna

Qualunque sia stato, Lettore, l'insieme delle magiche intersezioni del Web che ti ha condotto qui, è improbabile che tu non conoscessi già l'esistenza della fornace Penna.


E' difficile che in Italia qualcuno non ne conosca l'esistenza. E questo non tanto perchè essa costitutisce probabilmente il monumento di archeologia industriale più rappresentativo dell 'Italia Meridionale, quanto perchè la sua esistenza è stata pubblicizzata in molti modi.

E' la "mannara" di Montalbano nella trasposizione televisiva della "Forma dell'acqua" .

E' la "cattedrale laica in riva al mare" di Sgarbi.

Pertanto, scrivere qualcosa di originale o di inedito su di essa, non è alla portata di tutti. Sicuramente, non alla mia, Lettore, così eviterò di tediarti con inutili ripetizioni; la storia puoi trovarla qui: www.sciclinews.com/documenti/1207rg03.pdf

La fornace si trova a Sampieri, paesino costiero in provincia di Ragusa, che è in pratica la marina di Scicli, paese che non sorge sulla costa. Sampieri si trova all'estremità ovest di un golfo sulla costa dell'estremo sud della Sicilia; la fornace Penna si innalza in corrispondenza dell' estremità Est



Pertanto, chi si trova,al centro del golfo, sulla spiaggia, al mattino, vede sorgere il sole in direzione della fornace, dietro di essa. Le arcate e la ciminiera che si stagliano scure contro il cielo chiaro costituiscono un'immagine suggestiva ed inquietante. Un'immagine che colpisce profondamente ma che, in tali condizioni di illuminazione, è difficile da associare a quello di una "cattedrale", seppur laica



Eppure. quando nel 1912 la sua costruzione venne ultimata, l'aspetto della fornace era profondamente diverso.
Uno stabilimento industriale in stile neoclassico, e costruito con muri a secco era inusuale; era un impianto all'avanguardia, e non solo dal punto di vista architettonico. Per la cottura dei laterizi usava un forno Hoffmann a ciclo continuo.

Fino alla metà dell'Ottocento, il funzionamento delle fornaci era a ciclo intermittente: all'interno del forno, in una camera unica, il materiale di cottura veniva prima preriscaldato, poi la temperatura veniva innalzata ed il materiale cuoceva, infine il forno veniva spento e si attendeva il raffreddamento del materiale prima di estrarlo dalla camera

Il forno Hoffmann fu brevettato nel 1858 dall'architetto Friedrich Hoffmann. Era a pianta circolare, suddiviso in camere disposte ad anello, separabili con diaframmi mobili manovrabili dall'esterno. Ogni camera era dotata di una porta comunicante con l'esterno, per il carico e lo scarico dei materiali. Le camere venivano tenute in comunicazione, ed un diaframma separava l'ultima (che conteneva i laterizi da preriscaldare) dalla prima, che conteneva il materiale già cotto e più freddo. Il fuoco veniva mantenuto in una camera intermedia, dove era posto il materiale che subiva la cottura. Ogni camera aveva uno sbocco, regolabile da valvole azionate dall'esterno, in un canale centrale, concentrico, in comunicazione con il camino

Il tiraggio del camino richiamava aria fredda dall'esterno che entrava nella prima camera, raffreddando il materiale cotto e riscaldandosi al suo contatto, fincè giungeva calda nella camera ove vi era il fuoco. L'aria calda ed i fumi prodotti dalla combustione preriscaldavano il materiale da cuocere prima di fuoriuscire dal camino. Ogni quattro ore circa, il fuoco passava alla camera successiva, il contenuto dell'ultima camera, ultimato, veniva rimpiazzato con materiale da lavorare, ed il diaframma veniva spostato, cosicchè l'ultima camera diveniva la prima.

Questo disegno esplicativo è tratto dal sito del comune di Castelvetro di Modena; spero di violare alcun diritto nel pubblicarlo
Con questo sistema i tempi morti venivano azzerati.

Nel 1864 Hoffmann brevettò un forno con camere sempre disposte ad anello, ma a pianta ovale, anzichè circolare.

Il forno della fornace Penna, era ovale, a sedici camere. E' ancora presente, quasi completamente integro, all'interno dei ruderi dello stabilimento.

E' possibile vedere le porte di carico e scarico dei laterizi





e le curve alle estremità dell'ovale



ma è nelle riprese dall'alto che è più facile apprezzarne forma e dimensioni.

L'impianto non comprendeva solo lo stabilimento, ma anche una serie di altri edifici.

L'ingresso si trovava sul lato Nord. Tra l'ingresso e lo stabilimento vi erano costruzioni ad un piano, disposte a "V" asimmetrica o ad "L", con il vertice rivolto a Nord.

Esse sono ancora presenti, ed in buono stato di conservazione ove si escludano i tetti.
All'infuori del fatto di essere state edificate un secolo fa, esse non presentano alcuna peculiarità architettonica





L'edificio in cui avveniva la lavorazione è posto più a Sud. E' a pianta rettangolare, con il lato maggiore lungo 86 m e disposto grossolanamente lungo la direttrice Est-Ovest



La parte centrale del piano terra, l'unico rimasto, è suddivisa in tre locali





In quello più ad Est aveva sede il forno Hoffmann





mentre quelli ad Ovest costituivano il vano motore e la sala macchine


In corrispondenza del punto di mezzo del lato Sud del locale che contiene il forno si innalza la ciminiera, originariamente alta 41 metri . Nel piazzale Sud possono vedersi ancora le tracce degli essiccatoi, come strisce longitudinali perpendicolari al lato maggiore dello stabilimento; in essi venivavo fatti essiccare i lavorati pieni prima della cottura


Lo stabilimento venne distrutto da un incendio doloso la notte del 26 gennaio del 1924; riguardo a chi ne sia stato l'artefice vi sono due teorie contrapposte, la prima delle quali fa risalire ai socialisti, e la seconda ai fascisti la responsabilità dell'incendio. In ogni caso, dunque, motivazioni politiche.

L'incendio distrusse tutte le parti lignee dello stabilimento, facendo crollare i piani superiori dell'edificio, e lasciandone integre solo le parti in pietra. Ed è proprio questo scheletro in pietra viva che rende così affascinante ciò che rimane dello stabilimento

Se nelle riprese aeree è più facile rendersi conto della situazione e della struttura dell'impianto, è nelle riprese da terra, invece, che i ruderi riescono a sprigionare tutto il loro fascino













Per finire, Lettore, due informazioni raccolte da un abitante del luogo, nativo di Sampieri.

La prima è che il forno Hoffmann costò, allora, duecentocinquantamila lire.

La seconda riguarda le reali cause dell'incendio; riporto la vicenda così come mi è stata raccontata.

Allora, come adesso, i terreni confinanti con l'impianto erano coltivati a viti


Gli operai che lavoravano nello stabilimento portavano da casa qualcosa da mangiare durante la pausa pranzo; spesso però la frutta era costituita da grappoli d'uva asportati senza il consenso dei mezzadri dai vigneti confinanti. L'incendio venne appiccato dai mezzadri per spaventare gli operai, per sottolineare in qualche modo come non fosse gradito il fatto che essi varcassero senza preventiva autorizzazione i confini dei terreni coltivati. Chi appiccò l'incendio però non fu poi in grado di controllarlo, ed il fuoco si propagò all'intero stabilimento, distruggendolo.

Un incidente, insomma

Riguardo alla prima informazione, non ho alcun elemento per valutare se la cifra di duecentocinquantamila lire per un forno all'avanguardia fosse, per quell'epoca, verosimile.

Per ciò che concerne la seconda, occorre considerare che l'incendio avvenne a gennaio. L'impianto funzionava solo nei mesi caldi, da maggio a settembre, e chiudeva nei mesi invernali, in quanto, a causa delle piogge, l'estrazione dell'argilla dalla vicina cava diveniva impossibile.

Quindi, a gennaio, da un lato non potevano esservi operai nello stabilimento. Dall'altro, non potevano esservi grappoli d'uva nei vigneti.

Questa è comunque la storia che mi è stata raccontata a Sampieri; ma come sempre, il giudizio ultimo, Lettore, spetta a te.



giovedì 16 giugno 2011

LE GALLERIE DI CAMPOREALE ed altri racconti


Sulla carta IGM 1:25000 presente sul PCN, il tracciato nella zona di Camporeale è riportato come ferrovia dismessa praticamente per intero, esattamente fino al punto in cui ebbe termine ogni lavoro, e venne realizzata la parte terminale del rilevato.

La sovrapposizione con le foto aeree consente di identificarne l’estremità con un terrapieno a morfologia ogivale


tuttora esistente e contiguo alla strada che si inoltra in Contrada Mandranova



sulla sommità del quale attualmente esiste una coltivazione a vigneto


La documentazione ricavata dal PCN ha consentito di ricostruire con esattezza anche l’andamento del tracciato prima della trentesima cantoniera


ricostruzione nella quale avevo commesso un errore, evidente nella sovrapposizione tra la mia ricostruzione e la carta IGM


Esso non era tanto in relazione alla distanza tra l’effettivo percorso e quello ricostruito (l’errore era di qualche decina di metri), quanto al fatto che la mia ricostruzione prevedeva che il tracciato attraversasse, invece di aggirarlo, un terrapieno naturale, un rialzo del terreno, cosa che non sarebbe stata materialmente possibile. L’errore era dovuto al fatto di aver ricostruito il percorso sulle foto di GoogleEarth, in cui, dall’alto, l’esistenza del terrapieno


non era immediatamente intuibile; d’altra parte, come precedentemente sottolineato, nessuna traccia fotografica del rilevato era visibile (né sulle immagini attuali, né su quelle “storiche”), e quindi la ricostruzione era stata eseguita piuttosto ad intuito.

L’inesistenza di tracce del rilevato, o di altro tipo di strutture è confermato da quanto visibile in loco; vi sarebbero stati degli altri indizi (essenzialmente, la presenza di alcuni sottovia) che avrebbero aiutato a comprendere con maggiore esattezza quale fosse stato il percorso, ma il loro riconoscimento non è stato immediato, né sulle foto di GoogleEarth, né all’osservazione diretta.

Uno dei sottovia è presente (e dovrebbe essere in buono stato) poco prima della trentesima ed ultima cantoniera. Sapendo esattamente cosa si sta guardando, esso è facilmente riconoscibile sulle foto di GoogleEarth (che per quella zona non sono posteriori al 2006)


attualmente però esso è usato come parte di una sorta di deposito, ed è ricoperto da una struttura in muratura e lamiera, sotto la quale si intravedono le strutture originarie



Un altro è stato distrutto; se non si sa di trovarsi davanti ai resti di un sottovia della ferrovia, è difficile riconoscerne le strutture in quest’ammasso di detriti


I sottovia, però, così come il tracciato che congiunge i viadotti, sono ben visibili, accuratamente segnati, sulla carta IGM, e la sovrapposizione con le foto aeree ne rende agevole l’identificazione con le strutture esistenti. E come sottolineato precedentemente, l’intero tracciato è rappresentato nella zona di Camporeale; quindi, anche il superamento della collinetta presente subito dopo la fine del rilevato visibile lo è


E la linea del percorso in quel tratto coincide perfettamente con quanto era stato ricostruito; ma in corrispondenza della collinetta sono segnate due gallerie (quindi le collinette sono due), tra le quali si trova un sottovia


Ma allora, dov’erano le gallerie, delle quali sembrava non esservi traccia visibile?

Il sottovia era effettivamente presente; era scarsamente riconoscibile sulle foto di Google-Earth a causa del fatto che le pareti erano semisepolte


Ma, una volta recatomi sul luogo, la sua presenza era inequivocabile


Delle gallerie, invece, sembrava non esservi traccia.
Sovrapponendo, sul PCN, le ortofoto aeree alla mappa IGM, le imboccature delle gallerie avrebbero dovuto trovarsi dove non solo non c’era nulla, ma non sarebbe nemmeno stato facile, considerata la pendenza ridotta del terreno, realizzare i portali; sarebbe stata di gran lunga più semplice la costruzione di una livelletta. Risalendo la collinetta fin quasi alla sommità non si vedevano strutture che potessero in qualche modo essere attribuite alla presenza di gallerie; ma era inverno, e le condizioni del terreno, nonchè quelle di illuminazione, non erano favorevoli




Questo comunque rinsaldò in me l’idea che la costruzione del tracciato non fosse stata completata, e che qualcosa ne avesse interrotto la realizzazione (gallerie, rilevato e stazione terminale) poco prima che venisse ultimato.

D’altra parte, poichè le gallerie (ma non edifici che possano corrispondere alla stazione) sono riportate sulle carte IGM, mi sembrò strano che la loro realizzazione non fosse neanche iniziata. Dopotutto, le carte topografiche IGM dovrebbero essere pensate per uso militare, ed in contesti bellici l’esistenza di gallerie può essere molto importante; era quantomeno inusuale che venisse riportata l’esistenza di strutture di tale importanza, la cui realizzazione non fosse mai nemmeno iniziata.

Tornando lungo la strada dalla quale risulta ben visibile il sottovia (e che in teoria passerebbe proprio sopra la seconda delle due gallerie), chiesi ad un abitante del luogo, il quale asserì che le gallerie esistevano, che erano tre e che erano state ricoperte con materiale di sbancamento servendosi di ruspe. Le ricordava da bambino (così disse), e mi indicò il luogo ove avrebbe dovuto aprirsi una delle tre gallerie: una depressione del terreno, quasi una trincea


che corrispondeva al luogo dove secondo le carte IGM avrebbe dovuto trovarsi il portale della seconda delle due ivi riportate.

Ora, l’esistenza di tre gallerie era poco logica (vi erano solo due collinette – non si capisce dove avrebbe dovuto essere stata perforata la terza galleria, e perchè) ed in contrasto con quanto riportato sulle carte IGM.
Interpretai il racconto del signore con cui avevo dialogato come una distorsione del suo ricordo di bambino; probabilmente ciò che aveva visto e ricordava erano tre ingressi, tre imboccature: l’imbocco della prima galleria, il suo sbocco, e l’imbocco della seconda. E ciò contribuiva ulteriormente a confermare la mia idea: probabilmente erano state eseguite la perforazione della prima galleria, ed era stata iniziata quella della seconda, ma mai completata. Per questo esse comparivano sulla carta IGM; ma successivamente gli accessi erano stati sepolti.

Poichè però reputavo improbabile che il materiale di sbancamento riportato sui fianchi delle collinette potesse cancellare completamente le strutture, cominciai a cercare qualcosa che potesse dare un indizio dell’esatta ubicazione delle gallerie, e di ciò che rimaneva di esse; magari l’erosione delle acque piovane sul materiale di riporto usato per chiuderle poteva fare venire alla luce qualche abbozzo di struttura residua.

Fotografando il fianco della prima collinetta sembrava di potere scorgere una struttura ad arco, immagine costantemente presente in diverse fotografie riprese in tempi diversi




sebbene in posizione diversa da quella che avrebbe dovuto avere il portale, si vedeva su una parete quasi verticale. Ritenei allora che valesse la pena andare a verificare se in effetti questa potesse essere un residuo della galleria.

Di fronte alla collinetta, nel punto in cui il tracciato avrebbe dovuto curvare verso Ovest, e la strada sterrata non si identifica più con esso, sorge una casa; e davanti alla recinzione esterna vi è spazio sufficiente per lasciare l’auto. Prima che iniziassi la salita, dalla casa uscì un uomo anziano; gli chiesi allora informazioni riguardo alla proprietà del terreno ed alla possibilità di scalare la collinetta, spiegandogli quali fossero le mie motivazioni.

Sicuramente aveva voglia di parlare; fu molto gentile, mi rispose di essere il proprietario del terreno, e che avrei potuto benissimo scalare liberamente la collinetta, ma non avrei trovato nulla.

Mi disse che l’intero tracciato venne perfettamente completato fino a Camporeale. Che erano state costruite e rifinite le due gallerie, ed anche la stazione terminale. Mi raccontò che durante l’occupazione degli alleati, gli americani utilizzarono le gallerie e la stazione come polveriera, riempiendole con le bombe sottratte agli italiani. Che vi furono delle esplosioni che oltre a distruggere gallerie e stazione, causarono parecchie vittime; i camporealesi, per protesta, provocarono un’esplosione in una cantoniera.

Non fu in grado di essere più preciso riguardo alle date, in quanto al tempo dell’accaduto egli si trovava in norditalia, arruolato tra gli alpini.

Gli chiesi allora se fosse rimasto qualcosa della stazione, e mi rispose di no; “forse, qualche muro”, disse. Domandai ancora se fosse in grado di dirmi dove sorgesse la stazione e rispose che no, non lo ricordava. Chiesi infine se la costruzione del tracciato fosse stata ultimata nel 1930, come sembrava desumersi dai fregi sui viadotti, e rispose testualmente: “nel ’31 ancora ci lavoravano”.

Rinunciai a salire sul fianco della collinetta ed andai in paese; domandai a diverse persone, ma nessuno sembrava sapere dell’esistenza di una stazione demolita da un’esplosione.

Tornato a casa, riguardai le carte IGM. La stazione avrebbe dovuto evidentemente trovarsi oltre i viadotti, sia per una questione di distanza dall’abitato, sia perchè avrebbe avuto poco senso costruire due viadotti ad arcate che non sarebbero stati percorsi se non quando, eventualmente, la linea fosse stata prolungata a Salaparuta, considerato che fino ad allora Camporeale sarebbe stata stazione terminale.

Sulle mappe IGM sono segnati anche trincee e terrapieni; infatti, è perfettamente disegnato anche il terrapieno terminale. Era altresì evidente che la stazione non poteva sorgere nelle adiacenze di un terrapieno, dovendo trovarsi allo stesso livello del binario.

Quindi, occorreva cercare qualcosa dopo i viadotti ed una zona senza terrapieno. Questo restringeva le zone possibili a due piccoli tratti, non più lunghi di cinquecento metri; non sarebbe stato difficile ispezionarli


Ambedue erano accessibili direttamente, il secondo con qualche difficoltà.

In nessuna delle due zone sembravano trovarsi strutture inequivocabilmente riferibili alla presenza pregressa di un edificio delle dimensioni paragonabili a quelle di una stazione, con muri costruiti con la tecnica in uso per tutti gli edifici della linea



Più semplicemente, all’infuori di qualche agglomerato di pietre, non vi era nulla che potesse essere attribuito all’opera dell’uomo.

A questo punto, il contributo dell’IGM fu insostituibile. Non conoscevo la data dei fatti che mi erano stati narrati, ma lo sbarco degli americani sull’isola avvenne nel luglio del 1943, ed il tracciato doveva essere stato ultimato nel 1931; quindi, qualunque ripresa posteriore al 1931, ma anteriore al luglio del 1943 sarebbe andata bene. L’IGM aveva foto aeree della zona riprese durante un volo del 1941; gallerie e stazione avrebbero dovuto esservi rappresentate.

Ed eccola, la stazione di Camporeale! Ha le stesse dimensioni di quella di Santa Cristina Gela, con sole tre aperture sul prospetto, ma tre luci sulla parte laterale


Si trovava in corrispondenza di una delle due zone ritenute più probabili per la sua edificazione.

Sul luogo non era stato possibile vedere nulla perchè praticamente nulla è rimasto. Il terreno, paragonato alle zone circostanti, appare particolarmente ricco di sassi: sono probabilmente i resti delle strutture murarie, che continuano a tornare in superficie dopo ogni rimaneggiamento del terreno


Ispezionando la zona più attentamente questo è tutto ciò di visibile che resta della stazione



Mi è però sembrato strano che nessuno, di quelli a cui ho chiesto, sapesse nulla di questa storia; nelle ortofoto aeree del 1998 risulta infatti ancora discretamente visibile la zona delle fondamenta. Si può addirittura distinguere una parte più larga corrispondente al fabbricato viaggiatori, ed a seguire quella più stretta del magazzino merci


Riguardo alle gallerie, dalle foto aeree


è chiaro il motivo per il quale non mi era possibile vedere nulla sul luogo. Quando in inverno salii sulla prima collinetta, o dopo scesi nel fossato dopo il sottovia, in realtà mi trovavo dentro le gallerie.

L’esplosione dovette essere così violenta da “scoperchiare” le collinette, lasciando una trincea al posto delle gallerie; per la seconda di esse, parte della trincea è colma di detriti, e sopra vi passa la strada sterrata che ho percorso per arrivarvi. Questo è più chiaro dalle foto di GoogleEarth del 2004, viste in prospettiva; un’illuminazione favorevole, con ombre più pronunciate, consente di comprendere meglio ciò che successe


Quindi, il picco più a Sud della prima collinetta è in realtà la parete della galleria


e qui sono dentro la galleria stessa


Questa sarebbe invece la parete interna più a Nord della seconda galleria


e qui sarei dentro la galleria



Così, in effetti, anche se all’inizio era difficile capire come il portale di una galleria potesse essere costruito su un pendio lievemente declive, questa è la zona dove si sarebbe trovata l’imboccatura della prima


e qui invece si sarebbe trovata l’imboccatura della seconda, vista dalla sommità della prima collinetta



La stazione invece sarebbe stata visibile dalla provinciale nelle sue immediate adiacenze, ad un livello più basso; vi è ancora parte del sentiero sterrato, con una stretta curva, che avrebbe consentito di raggiungerla


Come apparirebbero oggi quelle zone, Lettore, se tutto ciò non fosse mai accaduto?

Probabilmente così: questa sarebbe l’imboccatura della prima galleria



Questa sarebbe l’imboccatura della seconda



E così apparirebbe la stazione



A questo punto, ad ottant’anni di distanza nel tempo dalla fine dei lavori, e a 65km di distanza nello spazio dalla Stazione Lolli, credo che sia stato ormai veramente detto tutto. Se vorrai, potrai seguire il tracciato per l’intero percorso, sapendo con l’approssimazione di un paio di metri quale sarebbe stata, in ogni punto, la sua posizione, e con l’approssimazione di una cinquantina di metri, la distanza dalla Stazione Lolli.

L’informazione, Lettore, è un concetto, un’entità indistinta, impalpabile, che prescinde dal singolo mezzo fisico sul quale risiede. Spero di avere gettato il seme per la sua riproduzione. Spero che tra altri ottanta anni, quando nè di me, nè di questo blog sarà rimasto nulla, l’informazione della mia ricostruzione si sarà riprodotta più e più volte, cosicchè qualcuno, guardando ciò che sarà restato del viadotto di Boccadifalco o di quelli di Camporeale, possa avere la cognizione di cosa, esattamente, stia guardando in quel momento


Distanze dalla stazione Lolli con l’approssimazione di cinquanta metri

  • distacco dal percorso della Palermo-Trapani: 1400m
  • cantoniera 1: 3000m
  • stazione uditore: 3650m
  • attraversamento via Di Blasi: 4000m
  • cantoniera2: 5200m
  • attraversamento via Falconara: 6200m
  • ponticello dopo falconara: 6350m
  • cavalcavia Luparello: 6850
  • stazione Baida: 7000m
  • cantoniera 3: 7300m
  • inizio terrapieno Baida:7450m
  • imbocco prima galleria 7550m
  • sbocco prima galleria (inizio viadotto Boccadifalco): 7700m
  • imbocco seconda galleria (fine viadotto Boccadifalco):7800m
  • sbocco seconda galleria:8150m
  • ingresso terza galleria:9200m
  • sbocco terza galleria:9350m
  • cantoniera 4: 9400m
  • inizio ponte fontana del drago: 9650m
  • fine ponte: 9750m Fontana del Drago: 9900m
  • imbocco galleria 4: 10050m
  • sbocco galleria 4: 10300m
  • cantoniera 5:11400m
  • Stazione di Monreale 12000m
  • ingresso Galleria 5: 12200m
  • sbocco galleria 5: 12650m
  • cantoniera 6: 13600m
  • ingresso galleria 6: 15750m
  • sbocco galleria 6: 15950m
  • cantoniera 7: 16000m
  • stazione Fiumelato: 16200m
  • cantoniera 8: 17800m
  • imbocco galleria 7: 19600m
  • sbocco galleria 7:19700m
  • cantoniera9: 20000m
  • stazione Altofonte: 20600m
  • imbocco galleria 8: 21000m
  • sbocco galleria 8: 21080m
  • imbocco galleria 9: 21150m
  • sbocco galleria 9: 21300m
  • cantoniera 10:21550m
  • imbocco galleria 10: 22250m
  • sbocco galleria 10: 22450m
  • incrocio con la provinciale per Belmonte Mezzagno: 22750m
  • cantoniera 11: 23600m
  • imbocco galleria 11: 23800m
  • sbocco galleria 11: 23900m
  • cantoniera 12: 25900m
  • imbocco galleria 12: 26800m
  • sbocco galleria 12: 27000m
  • sbocco a Pianetto: 27800m
  • cantoniera 13: 28000m
  • fermata Cozzo Vaccheria. 28650m
  • sottopasso terrapieno a Pianetto: 30850m
  • passaggio sotto ponte provinciale tra Pianetto e Santa Cristina: 31450m
  • viadotto Santa Cristina inizio: 32050m
  • viadotto Santa Cristina fine: 32150m
  • cantoniera 14: 32200m
  • ponte Santa Cristina: 33300m
  • Stazione Santa Cristina: 33650m
  • cantoniera 15: 34000m
  • passaggio sotto cavalcavia provinciale tra Santa Crisitina e Piana: 34700m
  • cantoniera 16: 35350m
  • ponte via Matranga: 35800m
  • attraversamento SP120: 36600m
  • cantoniera 17: 36900m
  • stazione di Piana: 37500m
  • cantoniera 18: 38000m
  • cantoniera 19: 39500m
  • fermata Kumeta: 40800m
  • cantoniera 20: 41250m
  • imbocco galleria 13 (Kumeta): 41300m
  • sbocco galleria 13: 42000m
  • fermata Kaggio: 43600m
  • cantoniera 21: 44500m
  • fermata Cerasa: 45950m
  • imbocco galleria 14: 46500m
  • sbocco galleria 14: 46630m
  • cantoniera 22: 46700m
  • cantoniera 23: 48600m
  • cantoniera 24: 51500m
  • stazione San Cipirello: 52450m
  • imbocco terzo viadotto: 54500m
  • fine terzo viadotto: 54630m
  • cantoniera 25: 54650m
  • ponte: 54950m
  • attraversamento SP 138: 56000m
  • cantoniera 26: 56500m
  • imbocco quarto viadotto: 56650m
  • sbocco quarto viadotto: 56790m
  • fermata Balletto: 58550m
  • cantoniera 27: 58700m
  • cavalcavia sulla provinciale per Grisì: 59650m
  • cantoniera 28: 60550m
  • trincea inizio: 61150m
  • trincea fine: 61250m
  • ex galleria 15 imbocco: 62150m
  • ex galleria 15 sbocco: 62250m
  • ex galleria 16 imbocco: 62500m
  • ex galleria 16 sbocco: 62650m
  • cantoniera 29: 63050m
  • imbocco quinto viadotto (quattro luci) 63450m
  • sbocco quinto viadotto:63520m
  • imbocco sesto viadotto (cinque luci) 63750m
  • sbocco sesto viadotto (cinque luci) 63840m
  • cantoniera 30 64800m
  • stazione Camporeale: 64950m
  • fine tracciato: 65300m